Cari amici e colleghi oggi facciamo il punto della situazione sul tema particolarmente discusso la momento Vitamina d e Coronavirus;
Siamo in piena emergenza da coronavirus, e come purtroppo troppo spesso accade di fronte alle emergenze non fanno che aumentare le “fake news” e le bufale anche nel settore nutraceutico.
Oggi perciò, voglio parlarvi e chiarire definitivamente il ruolo della Vitamina D nel COVID19.
Pochi giorni fa, due testate giornalistiche nazionali di estrema rilevanza hanno pubblicato i seguenti articoli: il primo di Repubblica dal titolo «Coronavirus, studio dell’Università di Torino: assumere più vitamina D per ridurre il rischio di contagio», ed il secondo di La Stampa dal titolo «Coronavirus, lo studio dell’Università di Torino: la vitamina D può ridurre il rischio contagio».
Ecco un esempio di fake news. La vitamina D non riduce il rischio di contagio, non perché non sia efficace o perché non funzioni, bensì perché non ci sono studi d’intervento a testimoniarlo.
Attenzione però, leggendo bene il contenuto degli articoli (che a loro volta si rifacevano a documenti di consensus elaborati da medici dell’Università di Torino) si comprendeche si tratta di una raccomandazione, non di uno studio sottoposto a peer-review e pubblicato in una rivista scientifica.
Utilizzare nei titoli o scrivere in un articolo di giornale che si tratta di uno studio risulta errato, si potrebbe parlare piuttosto di un preprint, ma c’è un altro problema: il documento dei due medici di Torino non parla di prevenzione per evitare il contagio, ma di «considerazioni epidemiologiche»: sembra infatti che quasi tutti i pazienti finiti in terapia intensiva per coronavirus abbiano bassi livelli plasmatici di vitamina D.
Ma cosa serve la vitamina D?
Quando si parla di vitamina D, ci si riferisce generalmente ad un insieme di steroidi lipofili denominati ergocalciferolo (vitamina D2) e colecalciferolo (vitamina D3).
La sintesi endogena di vitamina D insieme alla dieta rappresentano le due vie di reperimento negli umani. In particolare, la sola alimentazione apporta all’incirca il 10-20% dell’introito totale di vitamina D.
Il colecalciferolo viene prodotto dal suo precursore 7-deidrocolesterolo, nella pelle, dopo l’esposizione ai raggi UV B della luce solare.
Nel suo stato originale, la vitamina D3 è inattiva e richiede due reazioni di idrossilazione per diventare biologicamente attiva. La prima si verifica nel fegato, mentre la seconda avviene nel rene, in cui viene prodotta la forma attiva di vitamina D, il calcitriolo.
Il calcitriolo esercita i suoi effetti biologici sul recettore della vitamina D (VDR), un recettore intracellulare che una volta attivato regola la trascrizione genica e la sintesi proteica.
L’azione principale del calcitriolo è il mantenimento dell’equilibrio del calcio scheletrico attraverso l’assorbimento del calcio nel tratto intestinale, promuovendo la produzione e la funzione degli osteoclasti e regolando la secrezione dell’ormone paratiroideo, che è anch’esso un importante regolatore dell’omeostasi del calcio. Tuttavia, negli ultimi anni, l’influenza biologica della vitamina D è stata significativamente ampliata oltre la semplice regolazione del calcio. Il VDR è stato isolato in diversi tessuti non tradizionalmente coinvolti nell’omeostasi del calcio, come il miocardio e i fibroblasti.
Studi d’intervento in aggiunta a studi epidemiologici hanno evidenziato come i soggetti con ipovitaminosi D abbiano un maggior rischio di sviluppare malattie autoimmuni, declino cognitivo precoce, infortuni muscolari, infezioni del tratto respiratorio superiore e patologie oncologiche;
Questo a testimonianza del fatto che la vitamina D non interviene esclusivamente nell’omeostasi del calcio, ma anche in quella immunitaria e soprattutto infiammatoria.
N.B. La vitamina D può essere sia nutraceutico (a dosaggi fino a 2000 UI/die pari a 50 mcg), sia farmaco (>2000 UI/die)
La carenza di vitamina D è stata infatti collegata all’aumento della produzione e del rilascio di citochine infiammatorie, che possono avere un effetto negativo sulla funzionalità del miocardio, dei polmoni o influenzare indirettamente altri organi vitali.
Studi in vitro suggeriscono che la vitamina D sopprime le citochine proinfiammatorie come il TNF-alfa e l’IL-6, mentre aumenta i livelli delle citochine antiinfiammatorie.
Il peggioramento dei risultati clinici in pazienti con insufficienza di vitamina D nello scompenso cronico può essere quindi in parte correlato ad uno stato proinfiammatorio, che può influenzare direttamente la funzione cardiaca o indirettamente altri organi.
Non a caso, studi condotti su pazienti con artrite reumatoide hanno evidenziato come il trattamento con Tocilizumab sia maggiormente efficace nello spegnimento dell’infiammazione in pazienti con livelli di vitamina D a target. Da qui, il potenziale razionale che possa contribuire allo spegnimento dell’infiammazione anche nei pazienti con infezioni virali (sono in corso studi di Tocilizumab in pazienti affetti da coronavirus.
Quindi, in conclusione, la vitamina D non riduce il rischio di contagio da coronavirus, ma svolge un ruolo chiave nell’omeostasi del calcio, immunitaria ed infiammatoria. Potrebbe inoltre contribuire a migliorare l’efficacia di alcuni trattamenti terapeutici antinfiammatori.
Ricordiamoci però che:
La vitamina D va assunta a stomaco pieno, preferibilmente con un veicolo grasso;
La terapia giornaliera da 1000 UI/2000 UI è migliore rispetto alla terapia ad alto dosaggio mensile specie in soggetti che non presentano gravi carenze;
L’integrazione è consigliabile in tutti i pazienti con livelli di vitamina D <30 ng/ml, meglio ancora sotto i 40 ng/ml
Vitamina D sì nel paziente con immunodeficienze; essa contribuisce alla modulazione del sistema immunitario via linfociti T e allo spegnimento della risposta infiammatoria;
Vitamina D NON previene il contagio da coronavirus ma POTREBBE contribuire alla riduzione dei fenomeni infiammatori (esacerbati dal virus e causa di polmoniti atipiche) come adiuvante alla terapia convenzionale;
La Vitamina D andrebbe utilizzata a prescindere poiché come già spiegato il 90% della sua produzione dipende dalla esposizione ai raggi solari, che ora per ovvi motivi non è plausibile.
Per conoscere qual è la quantità di vitamina d giusta da assumere, la migliore forma farmaceutica, le eventuali interazioni farmacologiche rivolgiti ad un medico o ad un farmacista esperto del settore che sappia consigliarti e individuare il nutraceutico più adatto alle tue esigenze.
Dott. Atanasio De Meo
Farmacista
Dottore in Scienze e Tecnologie del Fitness e dei Proodtti della Salute
Diploma di Master in Nutrizione Clinica
Biointegra 3.0
Tel. 3924600170
Email. nutrizioneebenessere.bio@gmail.com