Il frumento o grano è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Graminaceae, in termini agronomici è un cereale microtermo (0-15°C) ed appartiene al genere Triticum, che possiede tre livelli di ploidia
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Diploide (2n): specie più primitive (grani antichi)
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Tetraploide (4n): vi appartiene il grano duro o T. durum
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Esaploide (6n) (grani moderni)
Nel 9000 a. C. circa l’uomo inizia a domesticare le colture di cereali e partire dal grano conosciuto come T. monococcum che può essere definito come il grano più antico. Successivamente il monococco è stato soppiantato dal T. dicoccum e da altre specie tetraploidi (T. turgidum, T. polonicum, T. dicoccum o farro medio) derivanti dall’incrocio di due specie, il farro piccolo (T.monococcum) e una specie selvatica (T. speltoides ?).
Indipendentemente dal grano cui facciamo riferimento, quello che chiamiamo chicco di grano in realtà si chiama cariosside ed è costituita da 3 parti principali:
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La crusca o tegumento che comprende la fibra insolubile,vitamine, minerali ma anche fitati (noti per essere fattori antinutrizionali)
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Endosperma o mandorla farina che comprende la maggior parte delle proteine di riserva e di carboidrati espressi soprattutto sottoforma di amido
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Germe del grano il cuore della cariosside in cui ci sono grassi per lo più insaturi, proteine, sostanze antiossidanti e vitamine del gruppo B
Sul grano e sulle sue caratteristiche si discute da tempo, ma negli ultimi decenni è diventato argomento dibattuto soprattutto per quello che riguarda le differenze tra i grani antichi, tornati prepotentemente alla ribalta, e i grani moderni, quelli che si demonizzano ritenendoli colpevoli delle più disparate patologie.
La prima domanda che mi sono posta è stata: ma esiste realmente questa supremazia dei grani antichi su quelli moderni? E se sì, riguarda la salute dell’uomo o solo le sue scelte d’acquisto?
Sicuramente i grani antichi hanno caratteristiche peculiari rispetto ai moderni:
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sono più alti e resistono meglio alle “malerbe”
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la loro produttività è meno influenzata dalla fertilità del suolo grazie alla loro “stabilità biologica”
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hanno una filiera più breve per cui si ha
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Migliore qualità
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Minor rischio di contaminazioni e problemi igienici di stoccaggio
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Ma l’evoluzione, spontanea o indotta, ha comunque apportato benefici a partire dall’adattabilità delle colture a terreni difficilmente coltivabili, a climi precedentemente insostenibili, in zone altrimenti non praticabili.
Da un punto di vista di componenti bioattive, secondo vari studi consultati, non ci sarebbero stati cambiamenti da segnalare, fatto questo che inizia a minare la riverenza assoluta rispetto ai grani antichi, che sottolineo, restano un prodotto eccellente, ma di nicchia, sicuramente non per coprire il fabbisogno attuale e la domanda attuale dei prodotti a base di frumento
Altro importante elemento su cui si dibatte, è il contenuto di proteine del frumento, e soprattutto sull’eventuale modificazione del glutine che costituiscono.
Va detto che sulla base della loro solubilità in vari solventi, le proteine vegetali sono:
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Albumine, solubili in acqua.
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Globuline, solubili in soluzioni saline, come l’avenalina dell’avena.
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Prolamine, solubili in soluzione alcolica al 70%, ma non in acqua o alcol assoluto.
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Gluteline, insolubili in acqua e soluzioni saline neutre, ma solubili in soluzioni acide e basiche.
Nel frumento le proteine rappresentano il 10-14% del peso della cariosside (circa l’80% del peso è costituito da carboidrati).
Seguendo la classificazione di Osborne, il 15-20% delle proteine sono rappresentate dalla albumine e globuline, mentre il restante 80-85%, è costituito gliadine, 30-40%, e glutenine, 40-50%.
Le gliadine sono prolamine idrofobiche monomeriche, cioè formate da una sola subunità, di natura globulare e con basso peso molecolare. Sono state suddivise nei seguenti gruppi:
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alfa/beta, e gamma, ricche di zolfo, contenendo residui di cisteina, coinvolti nella formazione di ponti disolfuro intramolecolari, e di metionina;
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omega, povere di zolfo, data l’assenza o quasi di cisteina e metionina.
Hanno uno scarso valore nutrizionale ed un’altissima tossicità per il celiaco per la presenza di particolari sequenza aminoacidiche nella struttura primaria.
Le glutenine sono proteine polimeriche, ossia formate da più subunità, di natura filamentosa legate insieme da ponti disolfuro intermolecolari, possono essere suddivise in due gruppi.
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Glutenine ad elevato peso molecolare o HMW, acronimo dell’inglese high molecolar weight
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Glutenine a basso peso molecolare o LMW, acronimo dell’inglese low molecolar weight
Nei vari studi fatti tra il 2017 e il 2018 si arriva alla conclusione che, paragonando i grani antichi e moderni anche per quel che riguarda le proteine, poco è cambiato nella composizione, anzi addirittura sembrerebbe le che le proteine del grano moderno siano meno dannose per il celiaco, rispetto a quelle antiche in quanto l’evoluzione ha portato ad un aumento delle glutenine che hanno un importante ruolo nella panificazione, tralasciando le gliadine che invece sono le maggiori responsabili del morbo celiaco. Ma è bene sottolineare che nessuno studio è MAI definitivo quindi al momento non è possibile dare una sentenza sul migliore o peggiore impatto del glutine sulla salute umana, la certezza , però, è una, ovvero il frumento, moderno o antico che sia, è NEMICO del soggetto affetto da morbo celiaco.
Ci tengo a sottolineare anche che, a mio avviso, un’altra fake news è considerare la disponibilità ubiquitaria del frumento come causa dell’aumento del morbo celiaco o della gluten sensitivity, le cause credo siano da cercare altrove, ma non è questo il contesto.
Dal grano o frumento che dir si voglia, si ottengono diversi prodotti, che saranno trattati successivamente, ma che genericamente possiamo indicare come FARINE e SEMOLA.
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Bibliografia
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- http://www.tuscany-diet.net/it/author/tuscanydiet/page/2/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5025969/
- https://www.agronomy.it/index.php/agro/article/view/908
- http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/07/12/grano-antico-fa-buon-glutine/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29580479