Maria Sorrentino, Antonietta Veccia e Giovanni Ragozzino
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche, Università degli Studi della Campania, I-81100 Caserta, Italia
LA TIROIDITE DI HASHIMOTO (HT) è caratterizzata da:
- PRODUZIONE DI AUTOANTICORPI DIRETTI CONTRO LA TIROIDE: abTPO (ANTICORPI ANTIPEROSSIDASI) e abHTg (ANTICORPI ANTITIREOGLOBULINA).
- INFILTRAZIONE LINFOCITICA: che porta alla distruzione dei follicoli tiroidei e a vari gradi di ipofunzione tiroidea.
- IPERPLASIA DELLA GHIANDOLA TIROIDEA.
Come tutte le patologie autoimmuni la tiroidite di hashimoto è una condizione clinica a genesi multifattoriale, dovuta alla combinazione di :
- influenze genetiche,
- immunitarie
- ambientali
- ormonali (in particolare per azione della Vitamina D)
I fattori ambientali che contribuiscono all’eziopatogenesi della malattia comprendono:
- disbiosi intestinale
- enteropatia con aumentata permeabilità intestinale (leaky gut syndrome) con infiltrazione linfocitaria intraepiteliale
- carenza di oligoelementi: selenio e vitamina D (principalmente)
Selenio e malattia tiroidea
Il selenio è un oligoelemento necessario al corretto funzionamento del metabolismo cellulare ed alla sopravvivenza di molti organismi, tra i quali l’uomo. Si stima che il contenuto nel corpo umano sia compreso tra i 13 – 20 mg. L’assunzione giornaliera di selenio è variabile in base alla zona geografica. In Europa, l’apporto di selenio attraverso la dieta è di circa 40 µg al giorno.La principale fonte di approvvigionamento per l’uomo è l’alimentazione quotidiana.
L’ integrazione di selenio anche in combinazione con altri micronutrienti o antiossidanti, è utilizzata sia per la prevenzione sia per il trattamento di numerose malattie; tra di esse annoveriamo la tiroidite autoimmune cronica, l’ipotiroidismo, l’infertilità (maschile e femminile), le malattie cardiovascolari (ictus, arteriosclerosi), l’artrosi, l’artrite reumatoide, diabete. Scopo di questa mini-review è di descrivere il ruolo di selenio e vitamina D nella terapia della tiroidite cronica linfocitaria (nota anche con il nome di TIROIDITE DI HASHIMOTO).
Selenio e Tiroide
Il selenio riveste un ruolo cruciale nel mantenimento dell’omeostasi del sistema immunitario ed endocrino, del metabolismo e dell’omeostasi cellulare. È indispensabile per il funzionamento di alcuni enzimi, chiamati seleno-proteine. Tra le seleno-proteine più importanti ricordiamo:
- la glutatione perossidasi (GPx), enzima ad azione antiossidante, in grado di: a) controbilanciare gli effetti tossici da radicali liberi; b) ridurre la morte cellulare per apoptosi e di modulare la sintesi della tireoglobulina (TG) e degli ormoni tiroidei (T3,T4).
- la Iodiotironina deiodinasi, rappresentata da una famiglia di enzimi, noti come deiodasi (D1,D2,D3). Ciascuna isoforma ha una distribuzione tissutale propria e determina l’attivazione e/o l’inattivazione degli ormoni tiroidei a livello di diversi organi.
- la Tireodoxina reduttasi con azione ossidoriduttiva, protegge dallo stress ossidativo. La tiroide è l’organo a più alta e stabile concentrazione di selenio
Allorquando si realizza una carenza di selenio, osserviamo una diminuzione significativa della sintesi degli ormoni tiroidei da ipofunzione delle selenoproteine (iodotironina deiodasi (DIO), responsabili della conversione di T4 in T3, soprattutto). Tale diminuzione stimola l’asse ipotalamo-ipofisario con un meccanismo di feedback negativo che determina aumento dell’ormone tireotropo (TSH); il TSH stimola i DIO a convertire T4 in T3, con conseguente produzione di perossido di idrogeno, che non viene adeguatamente rimosso da glutatione perossidasi (GPx) seleno-dipendente con accumulo tiroideo e quindi danni ai tireociti ed infine fibrosi.
Selenio ed autoimmunità tiroidea
L’effetto della supplementazione di selenio sull’evoluzione della tiroidite di Hashimoto (HT), è stata argomento di numerose pubblicazioni. Studi condotti su pazienti affetti da HT hanno dimostrato che la supplementazione con selenio è in grado di ridurre i livelli di autoanticorpi tiroide e di rallentare la fibrosi ghiandolare valutata ecograficamente.
Meccanismi, fonti ed integrazioni di Vitamina D nel trattamento delle tiroiditi di Hashimoto.
La vitamina D è una molecola steroidea, che regola l’espressione di un gran numero di geni. Esistono due forme di vitamina D, vitamina D 3 (o colecalciferolo) e vitamina D 2 (o ergocalciferolo). La vitamina D3 è principalmente sintetizzata nella pelle , in presenza di radiazione ultravioletta B (UVB), ma può anche essere ottenuta attraverso l’integrazione o la dieta.
La maggior parte degli effetti della vitamina D sono mediati dal recettore VDR che appartiene alla superfamiglia dei recettori nucleari che regolano i fattori di trascrizione degli ormoni steroidei, dell’acido retinoico, degli ormoni tiroidei e della vitamina D. I principali organi bersaglio della vitamina D sono l’intestino, le ossa, le ghiandole paratiroidi e i reni. Tuttavia, il recettore della vitamina D (VDR) e l’enzima attivante la vitamina D 1-α-idrossilasi (CYP27B1) sono stati trovati in altre cellule e tessuti come la pelle, la prostata, la mammella, l’intestino, i polmoni, le cellule β pancreatiche, i monociti , la cellule del sistema immunitario e le cellule paratiroidee.Inoltre la forma attiva della vitamina D ( 1,25 (OH) 2 D può anche essere localmente sintetizzata da queste cellule. Sulla base di queste conoscenze, nell’ultimo decennio, la prospettiva del ruolo della vitamina D sulla salute umana è cambiata radicalmente. E stata proposta come immunomodulatore con attività simile alle citochine attive localmente; difatti ha ruolo nella modulazione del sistema immunitario migliorando la risposta immunitaria innata ed esercitando un’azione inibitoria anche sul sistema immunitario adattativo (compresi macrofagi, cellule dendritiche (DC) e linfociti T e B.
Le linee guida sugli effetti pleiotropici della vitamina D raccomandano una concentrazione target di 25 (OH) D tra 30 e 40 ng / ml, soprattutto nelle malattie metaboliche e autoimmuni.
Tabella 3 Dosi di mantenimento giornaliero di vitamina D raccomandate per la popolazione generale e la popolazione a rischio di carenza.
Gruppi di età | Popolazione generale (UI) | Popolazione a rischio (UI) |
0 – 12 mesi | 400 | 400 – 1.000 |
18 anni | 400 | 600 – 1.000 |
9 – 18 anni | 600 | 600 – 1.000 |
19 – 70 anni | 600 | 1.500 – 2.000 |
> 70 anni | 800 | 1.500 – 2.000 |
Donne incinte 14 – 18 anni | 600 | 600 – 1.000 |
Donne incinte> 18 anni | 600 | 1.500 – 2.000 |
Allattamento 14 – 18 anni | 600 | 600 – 1.000 |
Allattamento> 18 anni | 600 | 1.500 – 2.000 |
Adattato dalle tabelle nutrizionali dell’Istituto di Medicina e della Società Endocrina.
Livelli efficaci di 25 (OH) D (in più del 97% della popolazione) possono essere raggiunti con un dosaggio ottimale di circa 2000 IU di colecalciferolo al giorno, indipendentemente dalla esposizione ai raggi UVB .
E’ interessante sottolineare che una recente revisione sistematica ha rilevato che dal 6 al 47% dell’assunzione di vitamina D è garantita da integratori alimentari. Pertanto, in assenza di integrazione, le concetrazioni sieriche di vitamina D dipendeno principalmente dalla produzione endogena, a cui concorrono determinanti genetici, pigmentazione della pelle, abitudini comportamentali , dieta, latitudine, stagione meteorologica, ora del giorno e durata di esposizione, uso di creme solari. L’ipovitaminosi D potrebbe derivare oltre che dalla mancata esposizione solare anche da malassorbimento intestinale (ad esempio, malattie infiammatorie dell’intestino) e da terapie per lunghi periodi con corticosteroidi.
La vitamina D è un composto liposolubile e pertanto segue l’assorbimento dei grassi alimentari idrolizzati dalla bile nell’epitelio intestinale e da qui giunge alla circolazione linfatica. Se ne deduce che in condizioni di malassorbimento sono necessarie integrazioni a dosi più elevate per mantenere concentrazioni idonee di 25 (OH) D. A rendere maggiormente complessa la potenziale integrazione, è descritta una significativa variabilità individuale nelle concentrazioni ematiche di 25 (OH) D2 in risposta a una dose fissa di vitamina D, confermando che è buona norma per il clinico ricordare la variabilità individuale dell’assorbimento intestinale e/o della metabolizzazione di vitamina D.
Malassorbimento e/o ridotta attività all’aperto incidono significativamente nel paziente con HT (con o senza ipotiroidismo) sulla sintesi cutanea, l’assorbimento intestinale e l’utilizzo di vitamina D.
Vitamina D ed autoimmunità tiroidea
L’associazione tra carenza di vitamina D e incidenza di malattie autoimmuni [diabete tipo 1 (T1D), lupus eritematoso sistemico (LES), artrite reumatoide (RA) malattia infiammatoria intestinale (IBD), sclerosi multipla (MS) e tiroiditi auto-immuni (HT) è stata descritta in mumerosi studi.
ll deficit carenziale di vitamina D è stato recentemente riportato come uno dei fattori scatenanti ambientali in grado di influire sulla genesi di TIROIDITE DI HASHIMOTO, difatti si è dimostrato che esiste:
- Correlazione tra ipovitaminosi D e livelli di autoanticorpi ed ormoni tiroidei
- Grado di ipovitamonosi D correlata alla durata di HT, al volume della tiroide e ai livelli di anticorpi AbTPO (anti-tireoperossidasi) e AbHTg (anti-tireoglobulina).
- Supplementi di colecalciferolo sono utili nel ridurre TPO-Ab nei pazienti HT con ipovitaminosi D. Nonostante una discreta quantità di evidenze, questa raccomandazione non è inclusa nelle linee guida sulla pratica clinica della Società Endocrina.
Non è ancora chiaro se l’ipovitaminosi D nei pazienti con HT debba essere interpretato come uno dei deficit evidenziabili nella malattia franca o se debba essere considerato come una condizione di deficit nutrizionale che rende prono il soggetto a sviluppare il processo autoimmunitario, processo che conduce all’autoimmunità d’organo (tiroide) e quindi in ultimo al danno parenchimale (tiroidite cronica linfocitaria) evidenziato all’esame ecografico.
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