….PER RESISTERE AGLI URTI DELLA VITA.
La vita moderna obbliga, o quasi, a vivere in disarmonia con i ritmi circadiani dell’organismo, i quali sono legati ancestralmente ad un funzionamento in sincronia con l’alternanza del giorno e della notte in termini di luce percepibile.
Questa condizione spesso conduce il soggetto a squilibrare anche il timing alimentare ossia la cadenza dei tempi dedicati all’alimentazione conducendo diversi organi come milza, pancreas e fegato a soffrire di questo stato caotico.
E’ ormai nota l’interdipendenza di questi organi: pancreas e milza da un lato e complesso epatobiliare dall’altro; quindi una stasi di questi organi causato da un aumento in cronico di prodotti di scarto che risultano neuro ed epatotossici, influenzano non solo uno stato psichico (depressione ed irritabilità) ma sopratutto organico (sensazione di esaurimento fisico)
Se non vi è ritmo e quindi frequenza e costanza nell’alimentazione sopratutto nella gestione dei carboidrati il fegato non solo non potrà più sopperire alle sue necessità ma verrà anche invaso da componenti tossici esponendolo a malattie e suscettibile all’azione di agenti virali.
La funzionalità epatica deve essere costantemente monitorata nei percorsi nutrizionali sopratutto in soggetti che esprimono un iperfunzionalità dell’organo stesso; questa condizione sottolinea un iper-lavoro per superare una condizione non ideale alla quale fa seguito un ipofunzionalità dell’organo e quindi ad una vera e propria resa.
Per una corretta funzionalità del fegato sotto un punto di vista biochimico (in modo del tutto simile a quella del tessuto muscolare e nervoso) ha bisogno dell’apporto di zuccheri; a differenza del tessuto nervoso che chiede un dosaggio ematico stabile di glucosio, il fegato necessita di carboidrati complessi e quindi più a lento rilascio; possiamo immaginare i neuroni come dei ragazzini ingordi di zuccheri unicamente per il proprio sostentamento e del tutto passivi rispetto l’omeostasi glicemica nel sangue e soffrono incredibilmente se non arrivano zuccheri mentre il fegato un pò come una “madre” la quale tramite i suoi risparmi (zuccheri in forma complessa) anche in situazione di sofferenza quindi con ridotto apporto di energia deve regolare, e mantenere, in primissima battuta, la glicemia in range compatibili con la vita.
In un soggetto che presenta già difficoltà epatobiliari e/o pancreatiche, assumere troppi alimenti contenenti zuccheri semplici oppure un abuso di frutta (quindi in uno scenario di protocollo alimentare squilibrato) provoca un immediata iperglicemia con secrezione marcata di insulina con conseguente ipoglicemia; il fegato magari già privato di energia (vedi diete low carb. Fai-da-te) e magari già in condizioni di debolezza sarà costretto a lavorare duramente, sacrificando le sue scorte di glicogeno per garantire livelli di glicemia stabili.
Ecco perchè, l’ideale in un percorso nutrizionale, sopratutto con soggetti in difficoltà epatica e/o pancreatica, è garantire un giusto apporto di carboidrati, orientato a coprire l’arco di tempo tra un pasto e quello successivo. Il paziente non deve mai avvertire la fame tra un pasto e l’altro, se questo dovesse avvenire si rischia di compromettere a lungo termine la funzionalità epatica, pancreatica e non solo…
Al fegato non basta solamente fornirgli energia per funzionare ma gli occorre anche una buona quota proteica per permettergli di rinnovarsi ma sopratutto per auto-ripararsi.
Ad esempio in condizioni patologiche, la carenza di proteine comporta una riduzione della sintesi di urea con conseguente accumulo di ammoniaca, il che può aggragavare una condizione già di per sé precaria.
Il tipo di proteina che può giovare maggiormente all’epatocita è sicuramente una proteina ad alto valore biologico come le proteine animali (qui si potrebbe aprire un dibattito lungo una vita, ragion per cui esprimo il concetto in un ottica di dieta bilanciata nella quota di proteine di origine animale e vegetale in relazione all’introito calorico giornaliero e della condizione fisio-patologica del soggetto). Le proteine di origine animale, sono filogeneticamente più simili alle nostre rispetto a quelle di origine vegetale e quindi risulterà meno oneroso per il fegato il processo di destrutturazione ed assimiliazione per poi indirizzarle in parte ai suoi processi di riparazione.
Le proteine vegetali risultano più complesse da destrutturare in quanto integrate e “legate” a strutture molecolari complesse come ad esempio la cellulosa.
Se è vero che la quota proteica che si può assumere dai vegetali è di tutto rispetto è vero anche che l’organismo per govarsi della proteina vegetale deve compiere un lavoro più complesso con consumo di energia (questo potrebbe giovare in caso di dieta dimagrante ma valutando il regolare funzionamento epatico) ed aumento di prodotti di scarto.
In conclusione spetta alla sensibilità del nutrizionista valutare il tipo di alimento da somministrare in caso di prevenzione e/o di affaticamento epatico-biliare, il tipo di cottura ed il tempo di somministrazione in base alla stimolazione funzionale che si ritiene necessaria (drenante o riparatoria) e fattibile per quel tipo di paziente e sopratutto in determinati momenti del percorso nutrizionale.
RIFERIMENTI:
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Dr. Bryan Walsh. (Comunicazione via email 2013).
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