Centrale nucleare V. I. Lenin, 20 km da Chernobyl, Ucraina. È la notte tra il 25 ed il 26 aprile del 1986. È in corso un test di sicurezza al reattore 4 della centrale.
Una serie di errori a catena producono l’innalzamento delle temperature del reattore 4 che diviene rapidamente una gigantesca pentola a pressione.
Ore 01:23, una violenta spinta di vapore fa saltare il coperchio del reattore.
L’esplosione dà origine ad un incidente nucleare senza precedenti.
Lo scoppio libera un’enorme quantità di grafite ed innesca un incendio che comincia a disperdere nell’aria isotopi radioattivi. Una nube carica di particelle radioattive si libera nell’atmosfera contaminando intere regioni dell’Ucraina, della Bielorussia e della Russia. Con il vento, seppur in minor entità, raggiunge anche l’Europa occidentale.
È emergenza radioattiva.
Nelle 36 ore successive al disastro, più di 330.000 persone sono fatte velocemente evacuare dalle zone circostanti. Non vi faranno più ritorno. Le città in prossimità della centrale, tra cui la più vicina Pripyat, e ben oltre i 20 km da essa, hanno un livello di radioattività così elevato da renderle inabitabili. Divengono città fantasma.
Circa 600.000 persone tra militari e civili, i cosiddetti liquidatori, si occuparono della rimozione dei detriti e della decontaminazione sia del sito che delle aree limitrofe.
Subito dopo l’incidente, ma ormai troppo tardi, viene costruito un sarcofago in cemento ed acciaio per limitare la contaminazione radioattiva dell’ambiente circostante. Sarà poi sostituito nel 2016.
Dalle stime ufficiali dell’Unione Sovietica si contano 93 morti. Si calcolano ulteriori 4.000 presunti morti per tumori e leucemie, date dall’esposizione a sostanze radioattive nei giorni immediatamente successivi al disastro. Le stime ufficiose parlano invece di oltre 90 mila decessi, tra cui la maggior parte dei liquidatori. Novanta secondi era il tempo massimo in cui veniva scandito il lavoro dei liquidatori nella zona del reattore. Tuttavia, essendo forniti di una semplice tunica in piombo, nulla valse contro i forti livelli di radioattività. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi. I più vicini all’epicentro morirono. I più distanti invece, tornarono a casa, ma compromessi per sempre.
Le particelle radioattive colpiscono il DNA (acido desossiribonucleico) danneggiandone i cromosomi e provocando morte cellulare o mutazioni genetiche. Inoltre, l’impatto diretto delle radiazioni ionizzanti sulla cellula porta alla formazione dei radicali liberi. Le molecole cellulari sono infatti scisse in composti chimicamente reattivi o instabili. I radicali liberi danneggeranno ulteriormente il DNA causando effetti sul metabolismo cellulare e danni latenti alla struttura genetica.
Il cesio radioattivo rilasciato dall’esplosione inoltre, causando mutazioni genetiche nell’uomo e negli animali può, una volta assunto attraverso cibi contaminati, provocare cancro e deformazioni ad embrioni e feti.
A Chernobyl il tempo si è fermato. Ad oggi, flora e fauna crescono indisturbate portandosi addosso i segni di quel disastro senza limiti. Gli alberi del bosco vicino alla centrale, uccisi dagli alti livelli di radiazioni assorbite, hanno assunto un colore aranciato. La famosa “Foresta rossa”. Tuttavia, questi enormi giganti, rimangono lì, completamente intatti in un silenzio solenne. Questo perché le radiazioni hanno spazzato via batteri e microrganismi che avrebbero attuato il processo di demolizione per restituire nutrienti al suolo.
Come per l’uomo, anche negli altri animali l’esposizione alle radiazioni ha causato danni genetici ed aumento dei tassi di mutazione.
Negli uccelli sopravvissuti, ad esempio, si è stimato un aumento delle cataratte, parziale albinismo nelle piume, diminuzione della dimensione cerebrale e, nelle aree più vicine al reattore, sterilità. Tra il 2014 ed il 2016, il personale sanitario ha esaminato 614 cinghiali selvatici della zona e poco meno del 50% di essi presentava livelli di radioattività superiori ai limiti consentiti. Ad oggi tuttavia, non si dimostrano gravi effetti negativi.
Malgrado tutto, la natura ha quindi riempito i vuoti causati dall’uomo. Oggi Chernobyl è una delle oasi naturali più ricche di biodiversità del nostro pianeta. Letteralmente paradiso e inferno che si contendono il posto. Cuccioli di orso che giocano nelle case abbandonate, cani radioattivi abbandonati dalle famiglie dopo il disastro nucleare ed ancora lupi, alci, civette, castori, linci e molti altri.
Ad oggi non è ancora chiaro quali siano i meccanismi fisiologici degli animali attivati in risposta alle radiazioni. Si presume però che si siano “semplicemente” adattati all’ambiente contaminato. Si è infatti osservato come l’organismo di alcuni volatili abbia imparato a gestire gli antiossidanti in modo diverso, resistendo così alle radiazioni. Gli anfibi che vivono nell’area contaminata hanno invece sperimentato una pigmentazione più scura rispetto alle stesse specie al di fuori da essa. Questo potrebbe voler essere una strategia difensiva. I topi invece risultano perfettamente sani e dunque immuni alle radiazioni.
I dati raccolti in questi anni nell’area contaminata risultano dunque anche migliori rispetto a quelli antecedenti l’incidente. In un habitat radioattivo, gli animali non sono quindi esposti a gravi mutazioni, sebbene sia comunque fatale esporsi alla zona di epicentro. La resistenza degli animali alle radiazioni, probabilmente, è anche associata alla durata della loro vita. La radioattività infatti, per poter compromettere totalmente un organismo, impiega circa 8 anni. Mutazioni e perdite dunque, sono ben presto rimpiazzate da nuovi individui. In questo modo, le popolazioni animali e vegetali all’interno della zona contaminata, si mantengono stabili e vitali.
Già pochi anni dopo il disastro infatti, nel 1991, furono trovate intere colonie di funghi. Ne sono state identificate più di 100 specie diverse.
Molti di essi, non solo resistono alle alte dosi di radioattività, ma ne sono addirittura attratti. Questa particolare forma di nutrimento prende il nome di radiotrofia. Si notò infatti che non solo assorbivano la grafite presente nel terreno a seguito dell’esplosione, ma orientavano la loro crescita dirigendosi laddove la radioattività si faceva crescente. Un po’ come i girasoli con il Sole.
In particolare, i funghi in questione fanno parte di tre specie: Cladosporium sphaerospermum, Cryptococcus neoformans e Wangiella dermatitidis. Tali funghi risultano neri poiché ricchi in melanina. La melanina è un pigmento presente nelle cellule in quantità diverse. Il suo ruolo è quello di incorporare la luce e dunque le radiazioni, elaborarle e dissiparle in modo da proteggere la cellula dai danni che ne conseguono. Se nell’uomo il suo compito è quello di difendere la pelle dall’irradiazione solare, in questi funghi sembra assumere un ruolo più complesso. Tale pigmento è difatti in grado di innescare processi biochimici simili alla fotosintesi clorofilliana. I funghi sono così in grado di assorbire le radiazioni nucleari convertendole in energia vitale.
Ad oggi ovviamente non è possibile visitare Chernobyl e le aree limitrofe giacché la radioattività è ancora troppo alta ed incompatibile con la vita umana. O perlomeno non in prima persona. Google Maps ha infatti recentemente aperto i confini virtuali per le zone devastate. Ponendoci su Street View è possibile visitare le aree limitrofe alla centrale.
Abbandonate a quella tragica notte, ma verdi e rigogliose.
Madre natura è dunque più resistente ed adattabile di quanto pensassimo, in grado di rinascere dalle proprie ceneri come una fenice, soprattutto in assenza dell’uomo.
Bibliografia
Galván I. et al. (2014). Chronic exposure to low‐dose radiation at Chernobyl favours adaptation to oxidative stress in birds. Funct Ecol, 28, 1387-1403
Mousseau T. A., Møller A. P. (2013). Elevated frequency of cataracts in birds from Chernobyl. PLoS One, 8, e66939
Møller A. P. et al. (2013). High frequency of albinism and tumours in free-living birds around Chernobyl. Mutat Res, 757, 52-59
https://www.scientificamerican.com/article/radiation-helps-fungi-grow/
Gli errori erano di progetto, non degli operatori. Uno dei principali sulle barre di controllo/sucurezza e che portò all’effetto di scram positivo… Molti gli inteventi che furono necessari per mettere in sicurezza i circa 15 reattori RBMK ancora in funzione alla caduta dell’Unione Sovietica.
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