La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è una sindrome complessa che affligge 1 donna su 10, caratterizzata da irregolarità del ciclo mestruale, ipersecrezione di androgeni, presenza di piccole cisti nell’ovaio e obesità.
Molte donne riscontrano anche alti livelli di insulina nel sangue (iperinsulinemia) ed una ridotta risposta dei tessuti all’insulina (insulinoresistenza), che potrebbe essere responsabile dell’alterazione del funzionamento ovarico, oltre che a contribuire al problema dell’obesità.
A lungo termine, inoltre, possono insorgere patologie di tipo metabolico, cardiovascolare e neoplastico.
In primis, è importante trattare efficacemente l’insulinoresistenza, e così ritardare o contenere i sintomi connessi alla patologia, come l’iperandrogenismo, l’irregolarità del ciclo, l’infertilità, il numero di cisti ovariche, l’acne e il sovrappeso.
La dieta e l’attività fisica svolgono un ruolo molto importante nel trattamento della resistenza all’insulina nelle donne affette da PCOS.
L’alimentazione può aiutare su due livelli: il primo è di tipo preventivo; il secondo è quello terapeutico vero e proprio.
La prevenzione, soprattutto per le donne che hanno familiarità o fattori di rischio per lo sviluppo della PCOS, è caratterizzata da una dieta povera di grassi, quindi con riduzione dell’introito calorico, affiancata dall’aumento dell’attività fisica.
Il calo ponderale deve avvenire in maniera molto graduale (0,5 kg a settimana) per evitare di riacquistare il peso perduto. La dieta ipocalorica determina una riduzione della produzione di insulina e testosterone con regolarizzazione del ciclo nel 40-50% dei casi.
Sul piano terapeutico, la dietoterapia mira a mantenere bassi i livelli di insulina, tramite una dieta a basso carico glicemico e basso contenuto di carboidrati; questi ultimi è preferibile che vengano consumati principalmente nella prima parte della giornata, cioè quando sono metabolicamente meglio tollerati.
Per ridurre ulteriormente la produzione di insulina dovuta all’introduzione dei carboidrati, è bene associare questi ultimi sempre a fibre, grassi e/o proteine, prestando attenzione anche al tipo di fonte, così da evitare di ingerire cibi processati e/o che contengono o possono rilasciare additivi o sostanze in grado di variare il quadro ormonale (per esempio gli estrogeni nel petto di pollo da allevamento intensivo o gli isoflavoni nella soia).
Rispettare un timing alimentare, cioè alimentarsi in determinate fasce orarie, sembra aiutare la secrezione ormonale e i cicli ovulatori.
In particolare, si consiglia sempre di fare, entro le 9:00 del mattino, un’abbondante colazione, che diventa il pasto principale della giornata e che raggiunge quasi le 1000 kcal.
È buona regola associare frutta fresca o essiccata (ad esempio fichi, albicocche e prugne), una fonte di carboidrati complessi (pane a lievitazione naturale o di segale, muesli, fiocchi d’avena, biscotti o torte fatte in casa con ricette che prevedano l’uso di dolcificanti alternativi allo zucchero, non dolcificanti artificiali) con una fonte di proteine, solo sporadicamente provenienti da latticini (che potrebbero innalzare i livelli di infiammazione dell’organismo e aiutare la produzione di insulina).
Si può, ad esempio, alternare prosciutto DOP (che per legge non contiene conservanti chimici o nitriti), uova da allevamenti a terra, salmone o tonno, rigorosamente pescati.
Segue un pranzo moderato (600-650 kcal) tra le 12:00 e le 15:00, con una piccola fonte di carboidrati a basso indice glicemico (pasta di farro, farro e orzo in chicchi, grano saraceno, miglio e altri), legumi o un’altra fonte proteica animale (come pesce, uova e carni bianche), abbondante verdura e olio extravergine come condimento.
Infine, una cena modesta (200 kcal) tra le 18:00 e le 21:00, una piccola porzione di verdure e una piccola porzione di proteine con una fonte buona di grassi quale l’olio extravergine a crudo.
Niente spuntini se non si avverte il senso di fame, per non indurre ulteriori picchi insulinici.
Questo schema alimentare, anche se può sembrare un piano totalmente squilibrato, è un piano terapeutico e deve diventare di routine per la donna che soffre di PCOS.
Non si tratta, di seguire una dieta solo per tre/quattro mesi: quando si torna alle vecchie abitudini, infatti, i problemi ritornano (come amenorrea, insulinoresistenza, aumento del rischio di sindrome metabolica ed altri).
La PCOS è, infatti, una sindrome cronica.
Ovviamente, ci si può concedere qualche piccolo strappo alla regola, adattandolo naturalmente alla situazione: 80% di alimentazione controllata e finalizzata alla PCOS, 20% di “sgarri” (ovvero cenare una volta a settimana fuori, saltare la colazione della domenica per riposare di più o concedersi il dolce nelle occasioni particolari).
Alle volte la sola alimentazione può migliorare le condizioni della patologia, ma altre, purtroppo, può essere sì un valido aiuto, ma non la soluzione. Ogni individuo è diverso dagli altri, non esiste una dieta o una terapia generale.
Dottoressa Laura Masillo
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
- Toscano V. Sindrome dell’ovaio policistico del Manuale di terapia delle malattie endocrine e metaboliche
- Travaglini P. Malattie del sistema endocrino e del metabolismo
- Jakubowicz D. et al. Meal timing and composition influence ghrelin levels, appetite scores and weight loss maintenance in overweight and obese adults. Steroids, 77, 323-331
- Rossoni A. e Benetollo R. Alimentazione in equilibrio. Come alimentarsi in maniera equilibrata praticando un’attività