Le malattie infettive hanno perseguitato l’umanità da sempre, ma facciamo un po’ di chiarezza. Il termine epidemia deriva dalle parole greche epi (sopra) e dèmos (popolo), sopra il popolo. Ad oggi con il termine epidemia si definisce l’insorgenza di una malattia che interessa un grande numero di individui. Se si tratta di un aumento improvviso dei contagi all’interno di una comunità, regione o stagione ben circoscritta, si parla di focolaio. Un’epidemia può inoltre essere limitata ad una zona, oppure, può varcare i confini e diffondersi in più aree geografiche contemporaneamente, in questo caso si parla più correttamente di pandemia. Nel regno delle malattie infettive, una pandemia è sicuramente lo scenario peggiore. La maggior parte delle pandemie risponde al nome di zoonosi. La zoonosi è una malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali all’uomo in modo diretto (ad esempio tramite pelle o sangue), o indiretto (attraverso ingestione di alimenti infetti o tramite organismi vettori). Alla base di questo principio vi è comunque una mancata immunizzazione verso un patogeno (virus o batterio) altamente virulento.
Le epidemie però non fanno solamente parte della storia moderna, esistevano difatti già nel Paleolitico, seppur circoscritte. Il passaggio alla vita agraria tuttavia, circa 10.000 anni fa, ha creato comunità e dunque un aumento della probabilità che si scatenino. In poche parole, più gli uomini divennero civili, ampliando le città ed i loro orizzonti, più le pandemie diventavano numerose.
Ma quali sono le pandemie che hanno cambiato la storia?
430 a.C.: la prima pandemia registrata è avvenuta durante la guerra del Peloponneso, ad Atene. La causa esatta di questa epidemia non fu mai conosciuta. Nel gennaio 2006 alcuni ricercatori dell’Università di Atene hanno ritrovato, nei denti provenienti da una fossa comune sotto la città, presenza di tracce del batterio Salmonella typhi. Fu dunque presumibilmente febbre tifoide. La malattia passò attraverso la Libia, l’Etiopia, l’Egitto ed attraversò le mura ateniesi. Morirono fino a due terzi della popolazione. Tuttavia, la grande virulenza della malattia le impedì di espandersi ulteriormente, in quanto uccideva i suoi ospiti così velocemente da non permettere la dispersione del bacillo.
165-180 d.C.: la peste antonina o di Galeno. Un’epidemia presumibilmente di vaiolo o morbillo, portata dalle truppe romane di ritorno dalle province del Vicino Oriente. Uccise cinque milioni di persone, tra cui l’imperatore Marco Aurelio. Fra il 251 e il 266 si ebbe il picco di una seconda pandemia virulenta. Anche in questo caso, non si sa bene se fosse stata di vaiolo o morbillo, ma pare che a Roma in quel periodo morissero 5.000 persone al giorno.
541 d.C.: la peste giustinianea, la prima pandemia nota di peste bubbonica. Yersinia pestis, batterio presente nelle pulci dei ratti, si diffuse dall’Egitto, in Palestina, nell’impero Bizantino e dunque in tutto il Mediterraneo. La pestilenza cambiò il corso della storia. Distruggendo i piani dell’imperatore Giustiniano di riunire l’impero romano, portò ad una massiccia lotta economica.
XI secolo: la lebbra. Sebbene esistesse da secoli, questa malattia batterica a sviluppo lento divenne una vera e propria pandemia nell’Europa medievale. Vennero così costruiti numerosi ospedali per accogliere il vasto numero di vittime. Tuttavia, se da un lato ci si prendeva cura degli ammalati, dall’altro venivano stigmatizzati. La convinzione generale che fosse una punizione divina portò difatti non solo a giudizi morali verso i malati, ma anche alla loro ostracizzazione. Ad oggi la lebbra è conosciuta come la malattia di Hansen ed affligge ancora decine di migliaia di persone all’anno. Se non trattata con antibiotici è fatale.
1350: the black death, la peste nera. La peste bubbonica fece il suo ritorno in Asia ed Europa. Causata nel 1346 dall’assedio tartaro alla colonia genovese di Caffa (l’odierna Feodosia), venne portata in Sicilia dai mercanti italiani provenienti dalla Crimea. Nel 1348 si diffuse così in tutta Europa e dunque in Asia. Uccise 20 milioni di persone in 6 anni, praticamente un terzo della popolazione totale del continente. I morti divennero così numerosi che molti rimasero in decomposizione sul terreno, creando un fetore costante nelle città.
1489: il tifo. Emerso già ai tempi delle crociate, colpì nuovamente l’Europa. Durante i combattimenti a Granada, gli eserciti cristiani persero 3.000 uomini in battaglia e 20.000 per l’epidemia. Chiamato anche “febbre da accampamento” o “febbre navale”, tendeva a diffondersi con maggiore rapidità in situazioni di guerra o in ambienti come navi e prigioni. Molti anni dopo, durante la seconda guerra mondiale, fu anche la causa di morte di moltissimi reclusi nei campi di concentramento nazisti.
1492: la scoperta dell’America. L’incontro tra esploratori europei ed indigeni fu molto spesso causa di epidemie e pandemie violentissime. All’arrivo di Cristoforo Colombo sull’isola di Hispaniola, ove risiedeva il popolo Taíno, si contavano circa 60.000 abitanti. Nel 1548 la popolazione era scesa a meno di 500. Pochi anni prima infatti, nel 1518 vi fu una enorme epidemia di vaiolo. Lo stesso scenario si ripeté in tutte le Americhe. L’arrivo degli spagnoli nei Caraibi, portò infatti nel nuovo continente, malattie come il vaiolo, il morbillo e la peste bubbonica. Senza una precedente esposizione, queste malattie hanno devastato le popolazioni indigene.
1665: la peste di Londra. La peste bubbonica portò alla morte il 20% della popolazione londinese. L’epidemia si ridusse nell’autunno del 1666, contemporaneamente ad un altro evento devastante, il grande incendio di Londra.
1817: il colera. Il batterio, Vibrio cholerae, precedentemente confinato nel Bengala, si trasmise ai soldati britannici attraverso acqua e cibi infetti. L’impero britannico sparse il colera in Spagna, Africa, Indonesia, Cina, Giappone, Italia, Germania ed America, dove uccise circa 150.000 persone. Fu in realtà la prima delle sette pandemie di colera che flagellarono il mondo. Nel 1885 fu creato un vaccino, ma le pandemie continuarono. L’ultima, la più recente, colpì l’Unione Sovietica nel 1966.
1855: la terza pandemia di peste. Cina, durata per un secolo, ha ucciso 1.2 milioni di persone fino al 1960.
1875: il morbillo. Dopo che le isole Figi cedettero all’impero britannico, vennero flagellate da una vera pandemia da parte del virus. Dall’Australia, si diffuse rapidamente e morì circa un terzo della popolazione delle Figi.
1918: l’influenza spagnola. La prima delle due pandemie che coinvolgono il virus H1N1. Iniziò nel 1918 in tre luoghi diversi: Best (Francia), Boston (Massachussetts) e Freetown (Sierra Leone). Fu denominata spagnola perché la Spagna, non intricata nella prima guerra mondiale e dunque non soggetta a censura, fu la prima a parlarne. Si trattava di un ceppo di influenza particolarmente violento e letale. La malattia si diffuse in tutto il mondo, uccidendo 25 milioni di persone in 6 mesi. Sparì dopo circa 18 mesi, quando cioè la maggior parte degli infetti aveva sviluppato l’immunità o era deceduto.
1957: l’influenza asiatica. Da Hong Kong si diffuse in tutta la Cina, negli Stati Uniti e successivamente anche in Inghilterra. Qui, per oltre sei mesi, morirono 14.000 persone. All’inizio del 1958, vi fu una seconda ondata che causò circa 1.1 milioni di morti a livello globale. Ad oggi vi è un vaccino efficace contro questo virus (H2N2).
1968: l’influenza di Hong Kong. Il ceppo del virus H3N2, emerso ad Hong Kong nel 1968, raggiunse nello stesso anno gli Stati Uniti dove fece 34.000 vittime. Un virus H3N2 è ancora oggi in circolazione.
1981: la sindrome da immunodeficienza acquisita (o AIDS), causata dal virus dell’immunodeficienza umana (o HIV). Identificato per la prima volta nel 1981, nelle comunità gay di New York e San Francisco. Tuttavia, ad oggi si ritiene che si sia sviluppato da un virus di scimpanzé dell’Africa occidentale nel 1920. Il virus sembrerebbe aver fatto un salto di specie e, propagandosi esponenzialmente in tutti i paesi del mondo, uccise milioni e milioni di persone. Dal 1996, una terapia farmacologica blocca il decorso della sindrome immunodepressiva (per lo meno in quei paesi in cui i malati possono accedere ai farmaci), ma non elimina il virus dai corpi degli individui. Sebbene la malattia sia oggi cronicizzabile e raramente letale (nel mondo sviluppato), ne continua il contagio, legato a fattori comportamentali. Dalla sua scoperta, sono morte 35 milioni di persone e, non essendoci di fatto una cura, questa pandemia è ancora oggi ben lungi dall’essere sconfitta.
2002: la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Osservata per la prima volta nella provincia di Guangdong, in Cina, nel novembre 2002. È una malattia respiratoria virale causata da SARS-CoV, un coronavirus. I coronavirus sono virus che utilizzano l’RNA come materiale genetico. Piuttosto diffusi in uccelli e mammiferi, possono fare un salto di specie, infettando così anche l’uomo. Alla fine ha portato a 774 morti in 26 paesi e ha colpito oltre 8.000 persone. Non è considerata una vera e propria pandemia anche se il virus, proveniente dalla Cina, si diffuse a Hong Kong e da lì fino a Taipei, Singapore, Toronto e molte altre nazioni.
2009: l’influenza suina. Il virus dell’influenza H1N1 fu alla base di questa pandemia. Riconosciuto per la prima volta in Messico. L’influenza è stata denominata così poiché trasmessa dai suini all’uomo. In soli due mesi si estese a quasi 80 paesi. In Europa e nei paesi limitrofi, i casi accertati furono 46.016 e le morti accertate 104. Nel resto del mondo i casi di morte accertati furono 2.910. Nel mese di agosto del 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato chiusa la fase pandemica.
2020: ed eccoci qui, con il coronavirus SARS-CoV-2. Proveniente da Wuhan (Cina) e diffusosi rapidamente in tutto il resto del mondo. L’11 marzo del 2020, è stato dichiarato lo stato di pandemia dall’OMS.
Sì, fa paura, guardare la storia delle epidemie può però offrire una prospettiva unica sul coronavirus SARS-CoV-2. Le epidemie sono di fatto una grande lente di ingrandimento che ci permette di scrutare i valori e le strutture morali delle società che attaccano. Frank M. Snowden, professore emerito di storia della medicina a Yale ed autore di “Epidemics and Society: From the Black Death to the Present”, descrive un’epidemia come “uno specchio” per la civiltà in cui si verifica, e da questo possiamo imparare.
Uno dei sopravvissuti alla peste bubbonica che colpì Firenze nel 1348 d.C., fu lo scrittore Giovanni Boccaccio, dopo la pestilenza, Boccaccio scrisse il Decameron, storia di dieci giovani che, per sfuggire alla peste, si ritirarono nelle campagne. Passarono qui dieci giorni a raccontarsi novelle per ingannare il tempo. L’opera di Boccaccio è ancora una testimonianza della peste bubbonica. Incredibile quanto, ad oggi, questa composizione letteraria non racconti solo la paura di fronte ad una malattia, ma anche il senso di responsabilità di isolarsi senza perdere il senno e farsi vincere dal momento di angoscia. Proprio in questo periodo nasce il temine quarantena. In ricordo degli anni bui della peste nera, nel 1400 si decise di indicare il periodo di isolamento a cui erano costrette le navi sospettate di trasportare persone o animali potenzialmente infetti. Le navi che arrivavano a Venezia dai possedimenti dalmati quali l’attuale Dubrovnik, venivano fatte sostare quaranta giorni in isolamento precauzionale. Ma perché proprio quaranta? Si riteneva semplicemente che dopo questo lasso di tempo un ammalato di peste non fosse più contagioso. La realtà era ben diversa. Le pulci dei ratti che la causavano difatti, dopo questo lasso di tempo, erano comunque vive. Tuttavia, questo servì in parte ad arginare l’evento epidemico. Ad oggi con il termine quarantena ci si riferisce ad un periodo di isolamento precauzionale di durata variabile.
Già da allora si capì quanto era importante attenersi alla quarantena e alle opportune distanze, per noi e per gli altri. Uscire solo se è indispensabile riduce notevolmente i casi di contagio, questo anche per aiutare il personale medico. Ad oggi, molti paesi non sono preparati ad una pandemia, poiché i loro servizi sanitari potrebbero essere facilmente saturati, certo, vaccini e farmaci antivirali potrebbero aiutare, ma gran parte della popolazione potrebbe non avervi accesso. Ed è qui che entriamo in gioco, dobbiamo “appiattire la curva” come sentiamo dire da ormai un bel po’ di tempo.
Già, ma cosa vuol dire? Ogni epidemia può essere descritta da un sistema cartesiano con una curva cosiddetta “gaussiana”, ossia a campana (Fig.1).
La curva gaussiana è costituita da tre momenti significativi: fase di crescita esponenziale, picco e fase di decrescita. Se sulle ordinate poniamo il numero di casi (i contagiati) e sulle ascisse il tempo passato dal primo contagio in riferimento al paziente 0, possiamo descrivere l’andamento di un’epidemia. In un primo momento si ha la fase di crescita esponenziale, ossia l’epidemia segue una precisa funzione matematica in cui in un breve lasso di tempo i contagiati raddoppiano. Questo, fino a raggiungere il famoso picco, ovvero il massimo dei contagi. Successivamente, i contagi saranno sempre meno e si avrà una curva esponenziale di decrescita.
Va da sé che più alta è la curva e più sono i contagiati. In poche parole, il virus si sta dunque diffondendo molto velocemente, si supera in breve tempo e di gran lunga, il tetto massimo di casi positivi gestibili contemporaneamente da un dato sistema sanitario.
Per avere cure tempestive ed adeguate dobbiamo dunque attenerci al vademecum rilasciato dal Ministero della Salute. Attenersi alle misure precauzionali implica un notevole abbassamento della curva, riducendo i casi positivi e dunque i contagi. Questo consente di spalmare i casi di contagio in un lasso di tempo maggiore e dunque più gestibile sia dagli ospedali, evitando il sovrasfruttamento delle risorse, che dai ricercatori nello studio di terapie ad hoc.
Dovremmo essere preoccupati? Non al di là di ogni ragionevole timore che ci induce alla cautela. Ora abbiamo una comprensione molto più ampia delle malattie e della medicina preventiva di quanto non abbiamo mai avuto prima. Abbiamo sistemi in atto per combattere le pandemie globali e la capacità di trovare cure attraverso la ricerca. Siamo più forti di quanto non siamo mai stati prima, ma dobbiamo avere buonsenso. Dobbiamo reagire a questo virus, nonostante la paura, con efficienza proattiva, mettendo in atto tutte le misure di salvaguardia per debellarlo.
Come si può capire nel testo la storia del nostro pianeta é sempre stata costellata da epidemie e pandemie che hanno sempre causato molti morti in oni periodo storico. Quest’oggi siamo costretti a lottare contro il covid-19 (corona virus);io so so sicurissimo di una cosa, che tutti insieme, rispettando le norme di sicurezza e dato il fatto che abbiamo tecniche di medicina molto più avanzate del passato riusciremo a sconfiggere questo virus come abbiamo sempre fatto e usciremo molto più forti
Nel corso della storia abbiamo riscontrato il verificarsi di terribili epidemie che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone. Anche oggi stiamo facendo i conti con una di queste epidemie: il covid-19; la situazione è drammatica e il mondo intero sta vivendo momenti di angoscia, paura e persino rabbia. Anche per me l’esperienza che sto vivendo è molto forte e credo che alla fine di tutto, l’esperienza sia servita ad insegnarci qualcosa: non dare mai nulla per scontato.