Lo stato di nutrizione per la vitamina D viene valutato misurando i livelli plasmatici della 25-idrossivitamina D (25(OH)D), la principale forma circolante di vitamina D. Lo stato vitaminico viene pertanto classificato come:
- Sufficiente: 25(OH)D > 30 ng/mL (> 75 nmol/L)
- Insufficiente: 25(OH)D 21-29 ng/mL (51-74 nmol/L)
- Deficitario: 25(OH)D < 20 ng/mL (< 50 nmol/L)
Partendo da questi elementi è stato calcolato che circa un miliardo di persone nel mondo presenta uno stato vitaminico insufficiente o deficitario, tanto da parlare di una vera e propria “epidemia”.
La quota preponderante di vitamina D deriva dalla sintesi cutanea, grazie all’esposizione della cute ai raggi UV di specifica lunghezza d’onda, mentre le fonti alimentari sono limitate e dunque insufficienti a coprire il fabbisogno giornaliero. Tra gli alimenti contenenti vitamina D sono compresi alcuni pesci grassi (es. salmone, sgombri, sardine), oli di pesce (olio di fegato di merluzzo), burro, formaggi grassi e il tuorlo d’uovo (che in molti casi bisogna limitare), oltre ad alcuni cibi fortificati (da noi poco utilizzati) quali soprattutto margarine e cereali.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma anche in Italia “il Paese del sole” la carenza di vitamina D è particolarmente frequente, soprattutto negli anziani e nei mesi invernali, e la situazione è ancora più critica nei soggetti istituzionalizzati o con altre patologie concomitanti, sia per la scarsa esposizione solare che per squilibri dietetici. Si stima che circa l’86% delle donne italiane ultrasettantenni alla fine dell’inverno presenta livelli ematici di 25(OH)D inferiori ai 10 ng/ml. Tuttavia, la carenza di vitamina D è molto frequente anche tra bambini e adolescenti, almeno nei mesi invernali.
Quali sono le cause?
La carenza di vitamina D può essere ricondotta a vari fattori, tra cui una ridotta sintesi cutanea, un ridotto assorbimento intestinale, l’uso di alcuni farmaci, malattie renali, malattie epatiche e obesità. La sintesi cutanea può essere influenzata da una minore esposizione solare, dall’età (diminuisce con l’avanzare dell’età), dalla superficie e lo spessore della cute esposta al sole (es. alcune pratiche religiose che limitano l’esposizione solare possono ridurre la sintesi), la pigmentazione della pelle (è minore nel fototipo cutaneo scuro), l’uso di creme solari protettive (riducono la penetrazione cutanea delle radiazioni ultraviolette) e il tempo di irradiazione.
L’ipovitaminosi D sembra avere anche una base genetica. Alcuni studi indicano che più del 50% della variabilità interindividuale dei livelli sierici di vitamina D può essere attribuito a fattori genetici. E’ stata in particolare osservata una stretta relazione tra la concentrazione di 25(OH)D e alcuni polimorfismi (SNPs) nei geni che codificano per la proteina legante la vitamina D, per il suo recettore VDR e per gli enzimi coinvolti nel suo metabolismo.
Quali sono le conseguenze?
La carenza di vitamina D è tipicamente associata a problematiche ossee e muscolari quali il rachitismo nei bambini, l’osteomalacia e l’osteoporosi negli adulti, nonché debolezza muscolare. Numerose evidenze suggeriscono poi un legame tra ipovitaminosi D e diverse malattie croniche come diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni (es. psoriasi, artrite reumatoide, vitiligine, ecc..) e alcune neoplasie.
Come prevenire la carenza di vitamina D?
Per i giovani potrebbe essere sufficiente esporre al sole viso, mani e braccia per 20-30 minuti al giorno, senza alcuna protezione solare. Tuttavia, non è semplice raggiungere livelli ottimali di vitamina D con questi semplici accorgimenti per cui, soprattutto per i soggetti più a rischio e/o con bassi livelli di 25(OH)D, si rende necessaria la supplementazione, su indicazione di uno specialista che ne indicherà il dosaggio sulla base delle caratteristiche e/o problematiche individuali.
Fonti:
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