Trofei di caccia, capricci consumistici, leggende, elisir di lunga vita e gioielli. Sono solo alcuni dei motivi alla base del bracconaggio. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per Droghe e Crimini, sono oltre 7 mila le specie minacciate dalla caccia di frodo e dal commercio illegale.
Negli ultimi anni, il bracconaggio è persino aumentato. Con la globalizzazione infatti, il commercio illegale non corre più “solo” nel dark web, ma anche nei social networks e nei siti internet facilmente accessibili tramite semplici ricerche. Va da sé che, aumentando la domanda, anche la caccia di frodo si espande. L’avorio non viene più prelevato esclusivamente dagli elefanti, ma anche da trichechi e ippopotami. Nel mercato locale, l’avorio può far guadagnare circa 100 dollari al chilogrammo ($/kg), mentre in quello internazionale, arriva fino a 5 mila $/kg. Gioielli e oggetti di artigianato in avorio costano la vita a circa 490 elefanti a settimana. Le conseguenze sono drammatiche. In Africa, la popolazione degli elefanti è drasticamente diminuita del 90% nell’arco di un secolo.
Sotto i colpi della caccia di frodo, sono stati spazzati via quasi tutti i rinoceronti bianchi della sottospecie Ceratotherium simum cottoni. Nel 2016 si contavano solamente tre esemplari. Due anni dopo, nel 2018, è scomparso Sudan, l’unico esemplare maschio di rinoceronte bianco settentrionale. Un corno di rinoceronte vale più di 66 mila $/kg. Un intero esemplare può esser pagato persino 500 mila $. Per questo motivo, ogni giorno vengono uccisi almeno tre esemplari, per un totale di 21 a settimana.
Il bracconaggio è anche responsabile del 78% delle morti della rarissima tigre di Sumatra. Così come di molte altre specie. Pangolini, anguille europee, antilopi, coccodrilli, serpenti, orsi, lupi, delfini e balene. Ma anche piante, fiori e intere foreste. Liste interminabili di specie assorbite da questo enorme buco nero.
I bracconieri sono veri e propri eserciti che si muovono con estrema facilità, varcando confini di stati e regioni, dentro e fuori i perimetri delle aree protette. Nel 2013, il governo inglese ha inviato un rinforzo militare in Kenya per aiutare il Paese a difendersi dai bracconieri collegati ad Al Qaeda. E armi, armi a non finire.
Molto spesso però, anche le comunità locali aiutano la caccia di frodo. Infatti, inconsapevoli del reale valore della biodiversità dei loro territori e, soprattutto, con la promessa di qualche dollaro in più per alleviare quella vita già difficile, indicano ai bracconieri la distribuzione e le abitudini degli animali della zona. Un esempio risale al 2013, in Zimbabwe. Alcuni abitanti, sotto l’ordine di alcuni bracconieri, avvelenarono le pozze d’acqua degli elefanti. Ne morirono più di 100 esemplari.
Bisogna intervenire. In gioco c’è molto di più della conservazione di una determinata specie. La natura non appartiene a regioni o a stati, ma a tutta l’umanità. Gli ecosistemi e le foreste garantiscono il benessere di tutti noi. Il loro futuro, ed il nostro di conseguenza, dipende proprio da noi.
Inizia così la storia delle Akashinga. Le paladine della natura. Le Akashinga sono un gruppo antibracconaggio dello Zimbabwe. Un team completamente al femminile. Il loro nome in shona, una delle lingue ufficiali dello Zimbabwe, significa “le coraggiose”. E di coraggio ne hanno da vendere. Sono donne vittime di abusi, violenze, ripudiate dalle famiglie, ragazze madri, povere ed emarginate dalla società in cui vivono. Scelte e reclutate nei vari villaggi da Damien Mander, attivista australiano fondatore della International Anti-poaching Foundation e ideatore del team, nel 2017. Queste magnifiche 37 ragazze, lottano ogni giorno contro il bracconaggio, con una forza senza paragoni.
Come le Black Mambas, la prima unità femminile che protegge la riserva di Balule (Sudafrica), anche le Akashinga sono altamente qualificate.
A differenza delle Black Mambas però, le Akashinga sono armate. La scelta di dotare le Akashinga di armi è di Mander. Mander è infatti un ex cecchino dei corpi speciali australiani in Afghanistan. I bracconieri sono veri e propri eserciti e questa è sempre più una guerra. Armare le Akashinga significa semplicemente tutelarle qualora la situazione si faccia difficile. Le ragazze hanno affrontato un addestramento uguale a quello dei ranger, comprese 72 ore di bootcamp. Merito forse anche del difficile passato che le ha rese ancora più forti, le percentuali di ritiro dai training è molto inferiore a quella dei loro colleghi uomini. E così, in tenuta mimetica perlustrano l’area del Phundundu Wildlife in Zimbabwe, casa di 11 mila elefanti.
“Se educhi un bambino, creerai un uomo. Se educhi una donna, formerai un popolo”, recita un proverbio africano. Ed è quello che risponde Damien a chi gli chiede il perché di un team completamente al femminile. Le Akashinga lavorano al progetto con passione e dedizione. A volte arrestando anche i propri familiari, finiti complici dei bracconieri. Solo nel 2019, hanno arrestato 80 bracconieri. Ma non è semplice. A volte scoppiano vere e proprie guerriglie, altre capitano incidenti. Ciò nonostante, non si perdono d’animo e continuano a lavorare con e per la comunità. Pattugliano le riserve naturali, interagiscono con la collettività, collaborano con le autorità locali e mantengono un’etica di conservazione della biodiversità molto elevata.
L’obiettivo attuale del programma è quello di reclutare 2 mila donne per la realizzazione di una rete di protezione che possa arrivare a coprire milioni di ettari di territorio entro il 2030.
Da sole indistruttibili, insieme inarrestabili. Attraverso queste donne coraggiose, la caccia di frodo sta lasciando finalmente il posto a biodiversità e tutela degli animali.
Fonti:
https://www.bbc.com/future/article/20180926-akashinga-all-women-rangers-in-africa-fighting-poaching
Cameron J. (2020). Akashinga: The Brave Ones. National Geographic